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Festival dell'Economia 2008: «Democrazia e Mercato»
 
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Paul Krugman: «Sorry,
il mercato può esistere
anche senza democrazia»

dall'inviato Piero Fornara

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30 maggio 2008

TRENTO - Al Festival dell'Economia, dopo l'inaugurazione nella storica e affollata Sala delle feste del Castello del Buonconsiglio di Trento, è toccato a Paul Krugman, a quest'omone con la barba, docente a Princeton, nonché celebre (e anche "scomodo") editorialista del "New York Times" fare l'intervento di apertura giovedì sera 29 maggio. Chiamato a rispondere di mercato e di ideologie, Krugman non ha portato a Trento un tipico messaggio di ottimismo americano: "Non è scritto da nessuna parte che il progresso economico porti necessariamente alla democrazia. E dunque il futuro non sta tanto nel Pil pro capite del mondo, quanto nel tipo di persone che vivono in questo mondo". Mentre le economie pianificate non possono sopravvivere senza un'ideologia – e il primo riferimento è stato alla Cina, per poi comprendere anche la Russia – le economie di mercato sembrerebbero non richiedere un sostegno ideologico.

Krugman si è detto peraltro convinto non solo della partecipazione democratica come valore in sé, ma ha aggiunto che non è stata tanto l'economia, in questi anni – e specie negli Stati Uniti – a condizionare la politica, quanto piuttosto il contrario. "Cosa sappiamo oggi sulla possibilità di sviluppo della democrazia in tutto il mondo?" si è chiesto e ha chiesto Krugman al folto pubblico della Sala Depero, sede di rappresentanza della Provincia autonoma (anche i posti delle due sale attigue, in collegamento video, erano esauriti). "Certo – ha detto – ripenso al 1989, a quell'anno dei miracoli, al crollo delle ideologie, ma anche al sogno di Tienanmen. Ripenso a quelli che sembravano segni di democrazia in crescita, tanto che Fukuyama potè parlare di fine della storia. Insomma, sembrava ineluttabile che il mercato spingesse verso società democratiche, ovunque".

Invece, non sono soltanto Paesi che potrebbero essere definiti marginali quali Cuba e Corea del Nord – ha aggiunto Krugman – a dirci di una diversa direzione. "Persiste soprattutto un capitalismo autoritario che trova in Cina e Russia i suoi esempi più clamorosi e dalle dimensioni che tutti conosciamo. Certo, in America Latina cogliamo segnali incoraggianti di democrazia, ma nel complesso la nostra certezza, rispetto agli anni immediatamente seguenti al 1989, è assai meno solida".

Krugman ha poi messo in fila una serie di dubbi, apparsi a tratti come dati di fatto, sui quali meditare. "Ci può bastare il fatto che tutti i Paesi ricchi siano oggi liberi? No, perché la Cina sta crescendo, non ha democrazia e paradossalmente, pur avendo creato la sua vertiginosa crescita tutta dopo il 1989, mantiene e continuerà a mantenere grandi livelli di povertà. La sua forza è data dalla popolazione, ma quando – fra meno di vent'anni – la Cina sarà la prima economia del mondo, avrà raggiunto il livello economico attuale della Russia. Andiamo verso un mondo dove alcune grandi potenze potranno non essere democratiche. Dunque, non è sempre vero che ricchezza vuole dire democrazia e la Cina lo sta a dimostrare.

Infine, Krugman ha guardato a casa sua, agli Stati Uniti. E qui l'anima liberal, la passione civile, sono apparse nitide. "C'è infatti un'altra domanda che dobbiamo farci – ha detto – ed è questa: quanto è sicura la natura democratica dei Paesi avanzati e ricchi? Tra il 2002 e il 2003 il mio Paese ha rischiato il tracollo della democrazia. Non finirò mai di dire cosa abbia rappresentato la figura di Bush e di un movimento politico ben preciso connotato solo da volontà di potere. Pressioni e lobby non si contano. Ci sono stati e ancora ci sono tanti segnali a dirci di una democrazia fragile. A partire dal fatto che le grandi compagnie telefoniche continuino a chiedere amnistie future per comportamenti generati da precise richieste della Casa Bianca. Io stesso sarei ben stupito del fatto di non essere stato intercettato e spiato in questi anni".

Negli Stati Uniti si avvicinano le elezioni e il libero commercio non sempre aiuta a prendere voti… "È il welfare il miglior antidoto al protezionismo: la cosa migliore da fare sarebbe creare democrazie sociali, che tutelano meglio dalle conseguenze della globalizzazione, non a caso gestita meglio da Paesi come la Danimarca". E concludendo: "Ho l'impressione che si debba tentare di ridurre il nostro timore della globalizzazione. Mi preoccupa piuttosto la percezione di una parte della politica, che vede l'inizio di una catastrofe".

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